Cosa non mi faccio mai mancare in viaggio?

casa-barbieLe famiglie si contraddistinguono per mille peculiarità. “Nessuna è uguale all’altra”, “tutte sono uguali se vai nel dettaglio dei problemi”, “nessuna è perfetta”, “proprio quelle che sembrano perfette sono in realtà le peggiori”, e se chiedi alla signora appena incontrata sulla panchina della fermata del bus avrai un’altra risposta simile, ma io da piccola non lo sapevo. Io ho fatto l’asilo dalle suore, la colonia estiva dalle suore e, visto che mia mamma appartiene alla scuola di pensiero del squadra che vince non si cambia, nel caso in cui mi fosse sfuggito qualche concetto, pure le elementari le ho dovute fare dalle suore! Non so se è stata l’educazione cattolica, ma io le famiglie dei miei amici le dividevo in due categorie: chi aveva delle tradizioni di famiglia e chi invece non le aveva. Io, ovviamente, facevo parte della seconda. Esisteva la sotto-categoria di chi aveva la casa (di città o di campagna) di Barbie e chi no, ma valeva solo per le femmine, quindi non conta.

Ovviamente, ragionando da bambina, vedevo con un misto di invidia e fascinazione coloro che rientravano nella prima categoria (pure della sotto-categoria barbie, in verità); infatti, seppure li vedessi sinceri mentre dicevano “stasera non posso perché abbiamo la cena della vigilia di Natale e chissà quando finirà”, oppure “come ogni anno a Natale a pranzo vengono i mie nonni”, o ancora “non voglio andarmene tutto il mese d’agosto in vacanza con i miei… preferirei stare qui a giocare con te”, io avrei voluto sbuffare con loro piuttosto che non sbuffare.

Io la vigilia di Natale andavo a fare le prove con il coro prima della messa di mezzanotte, la nonna ce l’avevo in casa e quindi sentirla mentre succhiava il brodo era una routine per me, e in estate i miei genitori hanno sempre lavorato. Anzi, in estate i miei lavoravano più intensamente degli altri mesi e avevano meno tempo da dedicarmi, così, una volta che le suore cessarono definitivamente l’attività estiva della colonia (e giuro che quell’occasione mi fece vedere per una volta Dio davvero misericordioso), passavo molto tempo con mia nonna. Questo nostro stare insieme non era una tradizione di famiglia e ne è prova il fatto che, visto che nonna faceva rima con orto, da cui lei riusciva a tirar fuori quintali di verdure che ancora mi chiedo come fosse possibile, ho richiesto uno stipendio per sottostare ai lavori forzati a cui mi sottoponeva. Ero una badante antesignana, con l’unica differenza che il mio italiano era perfetto e nel tempo libero preferivo il mare al parco.

Ma i bambini si sa, non hanno visione d’insieme. E così io non mi rendevo conto di avere una famiglia con un patrimonio molto più caratteristico di una tradizione: io avevo una famiglia con delle vere e proprie ossessioni.

La prima era il brodo con il bollito del pranzo domenicale, e sono quasi certa che questo elemento abbia influito sulla mia scelta a diciotto anni di diventare vegetariana.
La seconda ossessione era molto più potente della prima, perché non era una costante. La decisione era completamente in mano a mia mamma. Lei guidava la truppa. E la sua truppa eravamo mia nonna, il generale in congedo, e io, la mascotte a traino. La vera ossessione condivisa dalle donne della mia famiglia era il giro per i cimiteri, che in inverno arrivava di domenica e non c’era modo di opporvisi.

La pratica in questione non iniziava con una prima sosta dal fioraio, perché mia mamma, per ottimizzare i tempi, comprava i fiori già la domenica mattina o il sabato pomeriggio. Questo per avere più scelta o, forse, per evitare che mia nonna imponesse un carico di crisantemi per tutti i defunti che dovevamo visitare e quelle due, insieme, mi facevano salutare un quantitativo di morti che non mi stavano tutti su una mano.
Suddivisi in almeno 5 cimiteri.
Suddivisi a loro volta per tipologia.

crisantemi1

Il mio preferito era il cimitero di campagna, quello vicino alla casa in cui è nato mio babbo e dove viveva con la sua famiglia durante la seconda guerra mondiale. Quello di campagna era un cimitero senza stradine, solo erba e con uno strano marchingegno meccanico all’ingresso. Tutti i loculi erano disposti in cerchio, anzi si affacciavano su un rettangolo con al centro degli alberi. Più o meno tutti i loculi riportavano lo stesso cognome -il mio- e questo mi lasciava un po’ perplessa. Io sapevo comunque che in fondo a sinistra c’eravamo noi, e non i nostri omonimi. Ogni volta chiedevo che mi venisse raccontata un altro pezzo della storia di quelle persone e, a seconda dell’umore di mia nonna, rimanevo più o meno soddisfatta. Ripensandoci oggi, chiedere ogni volta come erano morte le sue gemelline settimine era una richiesta completamente priva di tatto. Purtroppo da allora poco è cambiato e non sono mai riuscita ad indossare guanti, piedi di piombo o pinze.

Ero una bambina e quindi cercavo di riconoscermi nelle storie di famiglia. Ero una bambina e dovevo farmi andare bene una domenica pomeriggio per cimiteri. E così, quando andavamo nei cimiteri in cui avevo solo una persona o due di cui conoscevo la storia, oppure quando la procedura di ricambio acqua e fiori nei vasi richiedevano più tempo del solito, mi mettevo a gironzolare.

Guardavo i volti sulle foto. Cercavo delle particolarità. Mi costruivo io delle storie sul motivo per cui fossero lì. Ma la cosa che mi appassionava di più, quella che stimolava contemporaneamente la mia curiosità e la mia fantasia, era cercare le tombe con la dedica (non sapevo che si chiamassero epitaffi). Perché quelle frasi mi aiutavano a immaginarmi meglio la persona della fotografia e così la storia che mi raccontavo sembrava più realistica. A volte mi spaventavo da sola, soprattutto quando mi imbattevo in fotografie di bambini, altre volte indugiavo sui dettagli degli oggetti che le persone mettevano a decorazione della tomba.
Alla fine della giornata, tra il cimitero di campagna, quelli in collina, quello di paese e quello di città, ero stanca morta (mi si passi la battuta), ma mai annoiata.

Così non avevo mai collegato prima di oggi questa ossessione famigliare con il fatto che ora, quando viaggio, cerco di ritagliarmi sempre del tempo per visitare almeno un cimitero. Perché mi sembra di raccogliere informazioni sulla storia di quella popolazione e, nel culto dei morti, ho la certezza che i popoli diano il meglio di sè. Perché adoro le statue di angeli segnate dal tempo, invase dal muschio e dall’edera. Perché vengo rassicurata da quell’aria di mistero, in cui la natura riprende lentamente il controllo di tutto. Perché gli epitaffi variano sempre per qualche dettaglio. Perché se c’è l’erba e c’è poca gente e sembra campagna, mi piace sedermi e pensare un po’.

Perché quella pietra un po’ grezza che utilizzavano fino a un secolo fa nei paesi anglosassoni ha uno stile perfetto durante l’invecchiamento, mentre trovo di cattivo gusto il moderno utilizzo di marmi lucidi scuri con venature nere.
Perchè seduta ti può capitare di essere colpita da un particolare: un soffione cresciuto precisamente di fronte ad una lapide in pietra. E nel voler fare una fotografia ti avvicini. E così ti accorgi che quella lapide ha inscritta una dedica particolare, che parla diretta alla tua storia.

Perché quando metto piede in certi cimiteri di campagna mi sento a casa. Trasformando in una mia personale tradizione, quella divertente ossessione delle donne della mia famiglia.

[Scritto grazie alla visita dell’Highgate Cemetery, Londra, UK]

Music, when soft voices die,
Vibrates in the memory. (P.B. Shelley)

3 pensieri su “Cosa non mi faccio mai mancare in viaggio?

  1. Che bell’inizio Nuvoletta! Poetico e scanzonato, proprio come te! Accidenti abbiamo avuto infanzie parallele: peró a me, quassú in tanta malora, il bollito manca e (pensa un po’) anche il Sightseeing Tour dei cimiteri, che visito con calma, in no-peak time, quando faccio un salto a casa. Mi vergogno a dire che l’Highgate Cemetery non l’ho ancora visitato, ma é nella lista delle mete domenicale mie e di Giulia…é vero che merita, come mi hanno detto?
    PS: uélcam! ;o)

    • Monic1 ciao! L’Highgate è stupendo! Sinceramente rientra tra le tre cose più belle di Londra. Mi raccomando! Dovete andare nella parte WEST, quella visitabile solo con la guida. C’è anche una parte egizia e sembra di stare in un film di paura. Salutami Giulia! Un abbraccio grande 🙂

  2. Pingback: Avrei voluto però salutare Elizabeth. Immagini dall’Highgate Cemetery | insellaunanuvola

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