Nelle giornate come quella che ho vissuto ogni parola mi suona come un’occasione sprecata per spiegare la magnificenza del viaggio.
Nelle giornate come quella che ho vissuto sono grata al mio viaggiare da sola per essere una così speciale cura.
La colazione al Kex Hostel è stata molto abbondante, poiché prevedevo una lunga giornata lontana dalla civiltà. Qualcosa però deve avermi fatto male, probabilmente lo yogurt, e la nausea mi ha fatto compagnia per un paio d’ore insieme ad un colorito giallognolo.
Prenoto l’ostello per la notte, faccio un calcolo del percorso e parto. Viaggiare da soli è molto liberatorio anche per questo. Pianifichi da sola, calcoli i tempi da sola, se ti va di fermarti ti fermi, se ti va di proseguire prosegui, se sbagli strada ti fai una risata e al bisogno coinvolgi la signorina di Google Maps che ti dice di prendere la seconda uscita e tu le chiedi se ne è proprio sicura questa volta. La grande negoziazione avviene con te stessa e il silenzio non è mai un segno di distacco. Quando viaggi da sola, il silenzio è sempre veicolo di suoni.
Salgo in macchina e il panorama ghiacciato mi mozza subito il fiato.
La prima tappa del mio secondo giorno è il Pingvellir National Park. Questo parco è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO e proprio qui si consuma una grande separazione e io ho camminato attraverso quell’evidente ferita. Ho infatti percorso a piedi un sentiero nella pianura di Almannagja, che rappresenta appunto il punto di distaccamento tra la placca tettonica euroasiatica e quella nordamericana. Ogni anno le due zolle si allontanano da un minimo di 1mm a un massimo di 18mm. Ogni anno. Da sempre. Ma entrambe continuano ad esistere e non è mai finito il mondo.
“Ti ricordi quando tra la mia guancia e la tua spalla c’era talmente poco spazio che sembrava un ruscello? E noi non gli davamo peso a quel distacco, no. Ma poi quel ruscello è diventato un fiume, poi un mare e poi niente, ci siamo persi di vista. Tu poi hai smesso di chiamarmi, si lo so, dalla schiena è spuntato qualcuno che poi erano sempre i miei piedi solo che tu non te ne sei accorta e io neppure. Stavo sempre girata di spalle, sì il taglio di capelli non è più lo stesso di quando ero ragazzina, di quando ti bastava allungare una mano per sfiorami la guancia. Eravamo sempre noi ma ad una differente distanza e non ci siamo più riconosciuti. Eppure il tuo profumo io lo conoscevo bene. Eppure eravamo sempre io e te. Noi due. Ma il tempo ci ha cambiati ma soprattutto è cambiato il punto da dove osserviamo sorgere il sole. Sto bene adesso. All’inizio è stata dura ma poi ad un certo punto le foche, le balene e un sacco di pesci hanno iniziato ad accarezzarmi il naso per farmi ridere nei momenti in cui avevo la mancanza di te. Ora non credo riuscirei a tornare indietro. No. Loro sono stati la mia salvezza mentre io e te eravamo alla deriva e la mia vita senza te ora è piena di altro”.
Questi e mille dialoghi interiori, con un caffè nero in mano e Chopin nelle orecchie. Arrivo alla cascata di Oxarafoss e mi si spegne il telefono.
La seconda tappa è stata Geysir, dove ho finalmente visto un geyser, davanti a cui il lettore mp3 ha deciso di dare random Sunshine Superman di Donovan. Poveretto Geyser è ormai una stella del cinema decaduta. Fuma solo ma non erutta più nulla. Largo ai giovani. A cinquanta metri da lui, sono tutti con gli occhi puntati su Stokkur, che ogni 4 minuti circa regala emozioni. Attendere il momento è quasi un’attività erotica. Da calma la sua acqua inizia a ribollire e poi si ricalma e poi si rianima, fa dei vuoti e tu pensi che sia il momento, si ricalma e così tu capisci che non è il momento, inizia a fare dei vuoti quando finalmente arriva un vuoto più profondo degli altri, l’acqua si fa per un secondo blu e poi erutta in un altissimo geyser. Che meraviglia la natura. Che scemi invece gli uomini e le donne che si mettono sotto vento.
Il mio viaggio prosegue per Gulfoss, quello che per me è stato il Niagara islandese. Sono circa le 20 e qui mi è mancato qualcosa. Non perché stessi male, ma perché stavo incredibilmente bene. È stato bello in maniera devastante. Ero piena di felicità e grata per quel bellissimo arcobaleno. Troppo per una persona sola.
Ho viaggiato da Gulfoss all’ostello per circa un’ora e mezza senza navigatore. Nell’ultimo tratto ho sbagliato due volte strada ma mi sono fermata a fare pipì davanti a campi sterminati. Con ghiacciai sullo sfondo e i cavalli che mi ignoravano. Non vedevo fattorie. Solo terra e strada.
Il mio ostello di questa notte era una scuola elementare. È in mezzo alla campagna. Il proprietario mi ha promesso che verrà a svegliarmi in caso di aurore boreali, ma io sono a posto così.
Non mi serve altro, grazie.